Gli studenti accorciano nomi degli antropologi, li semplificano, così come il mondo semplifica l’antropologia. Ho impostato Google Alerts in modo da inviarmi un riepilogo settimanale in merito all’uso dei termini “antropologia” ed “etnografia” per come rilevato dal suo algoritmo. In questa rubrica vedremo assieme cosa ne esce.

Quattro segnalazioni questa settimana da Google a proposito di articoli che fanno riferimento ai termini “antropologia” o “etnografia”.
Il primo articolo è ormai vecchiotto e si intitola La Settimana Santa, un’antropologia di fede e tradizioni popolari, da Torresette.news. In questo caso il termine antropologia è utilizzato nella sua accezione floklorica, come sottolinea “Breve viaggio nostalgico sugli usi e costumi del periodo pasquale”. L’articolo di Anna Casale è una disamina di tradizioni popolari dei giorni preparatori alla Pasqua nel napoletano. Interessante venire a conoscenza dell’origine di termini come O struscio, dal «rumore provocato dal procedere lento delle persone, lo strusciare delle suole delle scarpe lungo il manto stradale», udibile nel Settecento, quando Ferdinando I di Borbone vietò la circolazione di carrozze e cavalli in occasione del Giovedì Santo. L’articolo si concentra sostanzialmente su usanze liturgiche, dal giro delle sette chiese alla Via Crucis, e alimentari, dal casatiello alla fellata. Una lettura scorrevole funestata da pop up pubblicitari particolarmente invadenti.

Anche su La Provincia di Cremona.it si affronta il tema della Pasqua (in questo caso appena trascorsa), questa volta in compagnia di un vero antropologo: Marino Niola. Niola è, tra gli antropologi italiani, quello che si è speso di più in assoluto nella divulgazione della disciplina, attraverso una presenza costante sulla carta stampata. L’intervista affronta temi generici, come generiche sono le risposte, con un affondo rappresentato dalla proposta di festeggiare una Pasqua bis a emergenza conclusa. Opinabile la considerazione conclusiva, secondo cui tutti usciremo migliorati dall’esperienza della quarantena, in particolare per l’immancabile riferimento all’immaginario guerresco, in questo caso declinato al boom economico che ha seguito la Seconda guerra mondiale.

La segnalazione più divertente della settimana riguarda Sesso e sessualità: biologia e sviluppo antropologico dove, con dovizia di punti esclamativi, il naturalista Ettore Ruberti ci conduce nel mondo della sessualità. Il riferimento all’antropologia qui è usato in senso biologico, un po’ distante dall’antropologia come la intendiamo, ma il Ruberti attinge a piene mani a una sua versione dell’antropologia culturale quando dice che: «Le persone però elaborano in maniera diversa le informazioni grazie al sostrato culturale che hanno acquisito, spesso comprensivo di regole, divieti, tabù e prescrizioni religiose e/o politiche». Ancora più interessante la prescrizione in ambito educativo: «Ora, nel periodo dell’adolescenza è necessario fornire un’informazione corretta sulla sessualità e sul rapporto fra i sessi, educando il discente anche al rispetto di sé stesso e degli altri. Evitando di promuovere devianze di ogni tipo», peccato che il nostro si trattenga dall’esplicitare che cosa intenda per devianze, nonostante lo si possa intuire da altri passaggi dell’articolo in cui quasi si rimpiange il tempo in cui «l’omosessualità era illegale» o ci si rammarica per «un intero filone di cinema che non esito a definire volgare e triviale». Tale raffinatezza intellettuale si deve alla «specifica attività di scouting» svolta dalla testata Il Progresso online: «La finalità è permettere ad alcuni contributori del “Progresso” – specie quelli dislocati oltre i confini europei – di creare contenuti di valore per migliorare la performance individuale e la corporate reputation del Magazine».

Di tutt’altro spessore il contributo di Alessandro Triulzi per l’edizione di Alias di domenica 12 aprile, dedicato alla nuova edizione de L’Africa fantasma di Michel Leiris. Testo da tempo introvabile in Italia, ancor più travagliata la sua storia nel mercato francese. Pubblicato inizialmente nel 1934, come riporta Triulzi, «L’Africa fantasma fu considerato dal capomissione Griaule e dai maîtres-à-penser dell’etnologia del tempo – Paul Rivet, Marcel Mauss, Georges-Henri Rivière – “inopportuno” per la disciplina etnografica che allora si andava affermando, non senza difficoltà, sulle sponde della Senna». Con quello che il celebre antropologo James Clifford definirà “un mostro” ci immergiamo nel diario dolente di un artista prestato all’antropologia. La celeberrima missione Dakar-Gibuti rivestirà un ruolo centrale nella costruzione dell’intera riflessione etnologica francese, nel bene e nel male. Due anni di scorrerie in raccolta di documenti e oggetti per maggior gloria dell’impero francese tra furti, inganni e raggiri. Modalità di cui nessuno sarebbe dovuto venire a conoscenza e che emergono impietose dalle pagine di Leiris. Gli antropologi, angiocentrici come sono, fanno riferimento allo scandalo della pubblicazione dei Diari di Malinowski come momento di consapevolezza che aprì la grande stagione delle riflessioni sul senso della ricerca sul campo. Se i diari uscirono postumi, solo nel 1967, L’Afrique fantôme colpi come uno schiaffo il perbenismo accademico francese e lo fece quando l’impero coloniale si reggeva ancora come l’orizzonte degli eventi. Ma la spedizione Daker-Gibuti ci insegna anche un modo diverso di immaginare ricerca (al di là del modo in cui è stata condotta), basato sulla multidisciplinarietà e la collaborazione tra ricercatori e professionisti diversi, una modalità che sarà schiacciata dall’ingombrante mito malinowskiano.
A essere tradotta per la prima volta, a cura di Barbara Fiore, è l’edizione critica del volume, pubblicata nel 1996 e corredata di lettere, annotazioni e 40 fotografie della missione. Senza dubbio un libro immancabile per chiunque ami l’antropologia, anche se, vale la pena ricordarlo, per fortuna l’antropologia non è solo questo!