La didattica è un ambito in cui non si finisce mai di imparare. Nella gran parte dei casi per me si tratta di ripartire dall’inizio, in tutti i sensi. Innanzitutto, perché insegno quasi esclusivamente a non antropologi, il che significa da un lato dover rinunciare alla possibilità di dibattiti su temi specifici, approfondimenti su autori, metodi e una serie di altre cose. Dall’altro significa dover ricalibrare gli strumenti ogni volta sulla base della provenienza e gli interessi del pubblico che si ha di fronte. Una serie di cose complicate vanno rese semplici e catchy, comprendere il mondo del pubblico che si ha di fronte è di grande aiuto perché costituisce un serbatoio di esempi che funzionano e tengono alto il livello dell’attenzione.
All’ISIA di Faenza ci siamo accordati affinché ogni anno si decida collegialmente un tema portante a cui i vari programmi di studio si debbano adeguare. Quindi buona parte delle lezioni vengono riadattate di anno accademico in anno accademico. Nonostante questo, ci sono dei miei pallini a cui non sono disposto a rinunciare: qualche passaggio su antropologia pubblica e applicazione non manca mai. Settantacinque ore di corso consentono di affrontare un discreto numero di temi, il problema è farlo evitando di decimare l’aula. La cosa bella dei designers (facciamo una delle cose belle, va…) è che si può portare ad un altro livello il senso di lavoro dello studente. A un aspirante antropologo o antropologa si chiede una tesina, una presentazione in aula, al massimo dei piccoli approfondimenti di gruppo. Ai designers si chiede di immaginare mondi, una restituzione fatta da un designer da alla forma la stessa importanza che ha la sostanza. Più li si incita a sbizzarrirsi sul loro terreno e più loro ti conducono su terreni inesplorati, cambiando le forme, alterando i colori, rompendo le strutture. Se si è abbastanza bravi (o fortunati) si riesce a passare allo step successivo, perché dopo averle fatte a pezzi, le strutture vanno riassemblate, e in modo da avere un senso. L’anno scorso ho deciso di unire l’utile al dilettevole. Ho stressato l’assemblea della SIAA finché non hanno accettato di farmi mettere mano alla copertina di Antropologia Pubblica.

Antropologia Pubblica nasce di carta e con questa copertina, ad opera della defunta casa editrice SEID. Il fallimento della casa editrice portò non pochi problemi e ritardi.
La rivista diventò digitale passò quindi a CLUEB, per la quale fu ripubblicato pure il primo numero (per farlo si dovette riconvertire tutto il materiale da pdf, ma questa è un’altra storia…) con una grafica quasi più anonima della precedente.
Nel corso del tempo la struttura, che privilegiava l’impianto monografico, si articolò con l’introduzione di varie rubriche. Anche la copertina si adattò alle trasformazioni e iniziò a ospitare al posto del titolo le tematiche trattate. Dal punto di vista estetico fu un notevole peggioramento, che potete vedere nell’ultimo numero del 2018 qui sotto.

Dal 2015 mi prudevano le mani a causa di questa copertina, così ho incaricato i designers di farla a pezzi. Al termine del modulo che affrontava il tema dell’antropologia pubblica, la classe si è suddivisa in gruppi auto-organizzati con lo scopo di elaborare una nuova copertina che sapesse restituire quanto appreso. Il percorso ha attraversato diversi step: con cadenza bisettimanale è stato riservato uno spazio durante le lezioni al fine di discutere in modo collettivo come stesse procedendo l’elaborazione. Oltre a interpretare il concetto di antropologia pubblica, gli studenti dovevano cerare una copertina che potesse, se fosse stato necessario, cambiare le combinazioni di colore a caratterizzare le annate della rivista. L’ultima parola è spettata alla redazione di Antropologia Pubblica che ha infine scelto uno dei 5 progetti presentati.
Ho pensato di recuperare il lavoro fatto, mi pareva un peccato che rimanesse chiuso in un cassetto. Ecco quindi i cinque progetti con i testi di presentazione a corredo (la parte che ha fatto veramente sudare gli studenti). Ovviamente ogni merito va a loro mentre ogni fraintendimento in merito alla consegna dipende esclusivamente da me.




