Un etnologo sul treno

L’habitué di una linea si riconosce agevolmente dall’elegante e naturale economia del suo incedere. Come un vecchio lupo di mare che scenda al mattino presto con passo calmo verso la sua imbarcazione valutando con un colpo d’occhio il susseguirsi delle onde all’uscita del porto, misurando la forza del vento con aria apparentemente distratta, fors’anche un po’ atteggiata benché meno dell’intenditore di vino, e ascoltando, senza che sembri prestarvi attenzione, lo sciacquio del flutto contro il molo e il clamore dei gabbiani ancora radunati sulla riva o già sparpagliati sul mare in piccole truppe avide, così il viaggiatore consumato, soprattutto se è nel pieno degli anni e non cede facilmente alla voglia di una partenza improvvisa, si riconosce dalla perfetta padronanza dei suoi movimenti.

È il 1986 quando Marc Augé pubblica Un etnologo nel metrò uno degli ultimi testi di antropologia che hanno saputo superare il confine dell’accademia e divenire dei “classici” anche per il pubblico generalista. Tempi che ormai paiono lontani, quelli in cui era necessario ribadire che l’antropologia è la scienza dell’ordinario, anche quando non si occupa di una popolazione della Costa d’avorio ma della quotidianità parigina.

Ho ripensato al libretto di Augé qualche giorno fa quando, dopo mesi di sedentarietà forzata, ho compiuto un tragitto per me ordinario, quello che va da Torino a Faenza, dove insegno. L’occasione era data da un incontro informale tra docenti, alla fine di un anno scolastico complicato, in particolare in un istituto che fa dell’attività laboratoriale il suo fiore all’occhiello.

L'interno di Italo
Read more “Un etnologo sul treno”

Ricongiungimenti postumi

La leggenda narra che Frank Lloyd Wright si recò in visita alla Dome House, il primo incarico professionale realizzato da Paolo Soleri, su incarico della famiglia della futura moglie Colly. Un uomo dinoccolato, avvolto in un completo grigio di taglio largo, circondato dall’aura di carisma procuratosi sul campo, in veste di architetto che aveva tradotto il sogno americano nel linguaggio del cemento. Lloyd Wright si aggirò nell’open space di cui l’abitazione è costituita e puntando il bastone alle pareti, a indicare particolari architettonici, ne sottolineò la paternità, «That’s mine… That’s mine…», finché, soffermandosi sul pavimento intarsiato di cemento multicolore, «That’s Paolo».

Frank Lloyd Wright
Read more “Ricongiungimenti postumi”