No time, no space

Un paio di settimane fa fa ho avuto l’appello d’esame di Antropologia culturale per gli studenti dell’ISIA. Sono abituato a ricevere l’elenco degli iscritti alcuni giorni prima, ma venerdì ancora non avevo ricevuto nulla, così nel pomeriggio ho scritto una mail alla Segreteria ricevendo pronta risposta. Sabato ricevo una seconda mail: inusuale ma non eccessivamente strano; domenica pomeriggio ricevo una terza mail (la burocrazia degli esami in remoto è in continua evoluzione): questo comincia a sembrarmi bizzarro.

Bizzarro fino a un certo punto. In pieno lockdown, assieme ai colleghi Cingolani, Portis e Vietti, mi è capitato di occuparmi del corso di Antropologia dei contesti scolastici ed educativi per il percorso dei 24 crediti propedeutici al concorso degli insegnanti che dovrebbe tenersi in autunno.

Dovrebbe tenersi da tre autunni, a dire il vero.

La modalità scelta dal CIFIS quest’anno, vista l’impossibilità di tenere il corso in presenza, è passata attraverso la realizzazione di una serie di slide commentate. I tempi erano abbastanza stretti, a me è toccato il primo blocco di lezioni, che sono state realizzate più o meno nell’arco di due settimane e rilasciate in tre tranche. Per ben due volte ho inviato alla segreteria i file a ridosso o nel bel mezzo del weekend, la risposta è stata immediata e le lezioni sono state pubblicate sul sito di sabato o domenica.

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Lo stato dei margini

Se lo stato di salute della società è stato messo a dura prova dalla pandemia e dalle misure introdotte per contenerla, è dando un’occhiata ai suoi margini che possiamo trarre alcune considerazioni generali. In un breve articolo, pubblicato ormai più di due mesi fa sul sito dell’ANPIA, denunciavo quanto fossero drammatiche le ricadute della situazione su alcune specifiche fasce della popolazione. Un mese fa ho pubblicato qualche altra breve considerazione a partire da alcuni dettagli veramente micro su cui mi si è aperto uno spiraglio, grazie alle relazioni con soggetti che riescono ancora a operare a livello territoriale nonostante il lockdown.

Antropologi e antropologhe hanno scritto abbondantemente sulla società durante la pandemia (Fabio Dei ha aggiornato la lista delle pubblicazioni fino alla metà di aprile, l’ANPIA ha inaugurato una rubrica apposita sul sito dell’associazione), ad accomunare molti di questi scritti è l’assenza del requisito fondamentale della ricerca antropologica: l’accesso al campo.

Anche se è difficile, se non impossibile, avere uno sguardo diretto sui contesti che fino pochi mesi fa erano per noi quotidiani, nelle ultime settimane sono stati prodotti alcuni documenti che ci forniscono preziose informazioni in merito a realtà il cui presidio rimane fondamentale. È lo stato di salute dei margini della società, infatti, a costituire un prezioso termometro della civiltà tutta.

La protesta davanti al palazzo comunale di Torino
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Longevità

Un po’ di mesi prima della diffusione della pandemia sono stato coinvolto in qualità di consulente in un piccolo progetto di ricerca, portato avanti dall’Educativa di strada del Gruppo Abele, in un quartiere popolare di Torino.

Avevamo selezionato la zona, e quindi i giovani e le giovani che sarebbero stati coinvolti, in virtù della sedimentata relazione tra operatori, operatrici, ragazze e ragazzi del quartiere. Da diversi anni l’intervento educativo si articola in uscite regolari più volte alla settimana, in particolare nei pressi del campetto da calcio recintato posto tra le stecche di edilizia residenziale del quartiere. Decine di giovani di età e provenienze diverse si riversano ogni pomeriggio nelle aree verdi attrezzate, la fruizione degli spazi segue delle regole non scritte, ma tramandate dalla routine quotidiana: i ragazzi si impossessano del campetto, selezionandosi per bravura o necessità. All’occorrenza anche i più giovani o i più scarsi riescono a trovare un loro spazio in qualche formazione. Le ragazze si siedono sugli spalti e assistono alla performance calcistica e identitaria che si consuma al di là della rete. I più piccoli e le più piccole si mescolano nello spazio circostante, non ancora separati dai rituali di affermazione di un’identità di genere.

Queste, le considerazioni preliminari che ci hanno spinto a porre proprio il tema del genere al centro dell’indagine. E siccome i finanziamenti erano molto risicati, abbiamo anche elaborato metodologie che consentissero alla ricerca di essere portata avanti durante i tempi delle uscite e con un coinvolgimento attivo di ragazzi e ragazze interessate.

Periferie
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