Lo stato dei margini

Se lo stato di salute della società è stato messo a dura prova dalla pandemia e dalle misure introdotte per contenerla, è dando un’occhiata ai suoi margini che possiamo trarre alcune considerazioni generali. In un breve articolo, pubblicato ormai più di due mesi fa sul sito dell’ANPIA, denunciavo quanto fossero drammatiche le ricadute della situazione su alcune specifiche fasce della popolazione. Un mese fa ho pubblicato qualche altra breve considerazione a partire da alcuni dettagli veramente micro su cui mi si è aperto uno spiraglio, grazie alle relazioni con soggetti che riescono ancora a operare a livello territoriale nonostante il lockdown.

Antropologi e antropologhe hanno scritto abbondantemente sulla società durante la pandemia (Fabio Dei ha aggiornato la lista delle pubblicazioni fino alla metà di aprile, l’ANPIA ha inaugurato una rubrica apposita sul sito dell’associazione), ad accomunare molti di questi scritti è l’assenza del requisito fondamentale della ricerca antropologica: l’accesso al campo.

Anche se è difficile, se non impossibile, avere uno sguardo diretto sui contesti che fino pochi mesi fa erano per noi quotidiani, nelle ultime settimane sono stati prodotti alcuni documenti che ci forniscono preziose informazioni in merito a realtà il cui presidio rimane fondamentale. È lo stato di salute dei margini della società, infatti, a costituire un prezioso termometro della civiltà tutta.

La protesta davanti al palazzo comunale di Torino

Il primo documento su cui vale la pena soffermarsi costituisce una finestra sulla realtà torinese in cui opero, ed è la lettera con prima firmataria l’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) e sottoscritto da 25 associazioni e soggetti operanti sul territorio (tra cui il Gruppo Abele).

Un’accorata e necessaria denuncia dell’atteggiamento adottato dalle autorità locali torinesi e culminato il 4 maggio nella chiusura del campo allestito in Piazza d’Armi.

138 persone sgomberate senza preavviso, che solo in pochissimi casi hanno trovato una collocazione in percorsi alternativi, mentre nella maggioranza dei casi si sono semplicemente ritrovati in mezzo alla strada, impossibilitati a adottare anche minime misure di prevenzione. La protesta di 40 senza fissa dimora, accampati con delle tende di fronte al palazzo comunale, si è conclusa con il loro trasferimento in un padiglione di Torino Esposizioni. Per molti di loro invece l’odissea continua, accompagnata dall’inadeguatezza delle politiche locali.

Come già rilevato in precedenza, è l’applicazione ottusa delle politiche a infliggere il colpo di grazia ai soggetti più fragili (diverse sono state le segnalazioni di sanzioni applicate a chi dormiva per strada durante il lockdown), quelli che già stanno scontando duramente l’effetto di una gestione dell’emergenza che ha semplicemente fatto finta che non esistessero.

Fabio Versaci (M5S) ha rammentato come quella di corso Monte Lungo fosse comunque una struttura provvisoria, legata all’emergenza freddo, la cui apertura era già stata a suo tempo prorogata per un mese: una serie di container, inadatti ai primi caldi.

A dimostrazione di questa modalità di applicazione, il nascondersi dietro alla retorica della gestione emergenziale del locale consigliere M5S in seduta consigliare, che da sola vale più di mille parole.  

Antigone ha pubblicato il XVI rapporto sulle condizioni di detenzione, con il titolo non proprio originale di Il carcere ai tempi del coronavirus. Un’edizione completamente rivista alla luce degli eventi degli ultimi mesi, che hanno visto anche 119 detenuti e 162 operatori penitenziari contagiati (con 4 detenuti e 4 operatori deceduti).

Il livello di sovraffollamento nelle carceri italiane è da anni oltre la soglia della sopportazione, anche se il decreto Cura Italia l’ha fatto scendere dal 130,4% al 112,2%, i detenuti restano 52.679 a fronte dei 50.931 posti disponibili. Inutile ricordare che un quarto dei detenuti sono tossicodipendenti e che in Italia il 32% delle incarcerazioni avvengono per violazioni della normativa sulle droghe a fronte di una media europea del 18%. Altro triste dato riguarda il numero di suicidi, ben 53 nel 2019 e 17 dall’inizio dell’anno.

La protesta del 9 marzo nelle carceri italiane

Nonostante l’aumento delle restrizioni, che ha diminuito la possibilità di visite e l’accesso ad attività esterne, segnali interessanti sono giunti negli ultimi mesi dalle REMS del territorio nazionale, le quali hanno registrato solamente due contagi tra gli ospiti. Il Rapporto recentemente diffuso dall’Osservatorio sul superamento degli OPG e sulle REMS sottolinea che le misure anti-contagio hanno portato a un aumento delle attività interne (tasto dolente nella gestione delle Residenze fin dalla loro apertura) ben accolto dagli ospiti, a dimostrarlo l’assenza di azioni di protesta o di gesti che potessero condurre a interventi di contenzione.

Con l’ultimo documento abbandoniamo anche il piano nazionale e ci spostiamo su quello europeo, grazie allo Statement della Civil Society Forum on Drugs (CSFD). Nonostante molti consumatori di sostanze siano infatti da considerarsi soggetti ad alto rischio di contagio, l’atteggiamento adottato dai paesi europei sembra accomunato da una generale disinteresse per gli effetti delle politiche anti-contagio su queste popolazioni, spingendo l’European Monitoring Center on Drugs and Drug Addiction a pronunciarsi in questi termini:

L’attuale crisi della salute pubblica solleva gravi preoccupazioni aggiuntive in merito al benessere delle persone che fanno uso di droghe, alla garanzia sulla continuità dei servizi dedicati a coloro che hanno problemi con le sostanze e alla protezione di coloro che offrono assistenza e supporto per queste popolazioni.

Il CSFD propone quindi una serie di misure di intervento dettate dal semplice buon senso.

Proprio il buon senso sembra essere merce rara, in particolar modo quando la retorica dell’emergenza giustifica la colpevole trascuratezza dei margini, quelli che, ricordiamolo, costituiscono gli argini contro lo sgretolamento della civiltà.