La leggenda narra che Frank Lloyd Wright si recò in visita alla Dome House, il primo incarico professionale realizzato da Paolo Soleri, su incarico della famiglia della futura moglie Colly. Un uomo dinoccolato, avvolto in un completo grigio di taglio largo, circondato dall’aura di carisma procuratosi sul campo, in veste di architetto che aveva tradotto il sogno americano nel linguaggio del cemento. Lloyd Wright si aggirò nell’open space di cui l’abitazione è costituita e puntando il bastone alle pareti, a indicare particolari architettonici, ne sottolineò la paternità, «That’s mine… That’s mine…», finché, soffermandosi sul pavimento intarsiato di cemento multicolore, «That’s Paolo».
Più di sessant’anni dopo mi trovavo a Cosanti, il laboratorio modellato da Soleri nel deserto (e ora assorbito da Phoenix), il compito della mattinata era quello di ampliare un muro che separava il livello del camminamento a fronte della foundry e il cortile da cui si accede alla Pumpkin Apse. Roger, la mano di Soleri durante gli ultimi trent’anni della sua vita, come al solito guidava i lavori. La gabbia di legno era stata assemblata e piazzata, progressivamente si aggiungevano assi dall’aspetto precario ma insospettabilmente efficaci. Un gruppo di lavoro era incaricato della gestione della betoniera e della preparazione del calcestruzzo, un secondo del trasporto con le carriole dall’area dell’impasto a quella della posa, un terzo si occupava della posa vera e propria. Lo spazio da riempire era molto, per questo avevamo preparato una pila di rocce provenienti dal terreno incolto circostante. Avrebbero costituito il rinforzo interno nonché il riempimento da ricoprire con il calcestruzzo. Fu allora che qualcuno domandò a Roger perché non lasciare qualche pietra a vista.
Roger non è un educando avvezzo a cortesia e buone maniere, non ricordo le parole precise che utilizzò, ma furono qualcosa del tipo: «Not here! That’s the kind of Taliesin shit, we’re doing cement here». Ed era vero, eravamo lì per fare cemento, le rocce non dovevano lasciare traccia. Il giorno dopo avremmo realizzato una mescola molto più fine, quasi liquida, con una sabbia selezionata, l’avremmo resa di un colore simile al rosso del terriccio circostante e avremmo decorato la parete con la tecnica del dripping, fino a renderla omogenea in tutto e per tutto alle altre pareti di Cosanti.
Due mondi, Taliesin West e Cosanti, le proiezioni fisiche di due personalità assolute ed egocentriche, come Lloyd Wright e Soleri. Soleri parte alla volta degli Stati Uniti nel 1947, proprio per imparare da Lloyd Wright nella sua scuola rivoluzionaria. Un luogo speciale dove si conviveva impastando la sabbia del deserto per dare forma alla scuola stessa, una straordinaria applicazione del concetto del learning by doing. Il segno che Soleri lascia a Taliesin è un ponte che sovrasta una piscinetta, nessuno se ne sarebbe ricordato se a farlo fosse stato uno studente qualsiasi, tanto è perfettamente integrato nell’estetica di Taliesin: rocce del deserto impastate a malta in forme squadrate. Invece a farlo è stato Soleri e quindi te lo indicano durante la visita guidata. Soleri decide poi di abbandonare Taliesin, secondo alcuni non poteva tollerare una presenza ingombrante come quella di Lloyd Wright, si piazza nel deserto e si inventa delle strane campane, ma questa è un’altra storia.
Due anni dopo realizza la Dome House e, che la visita sia leggenda o verità, Lloyd Wright ha ragione a sostenere che gran parte degli elementi che la compongono siano suoi. Lo stile di Soleri è ancora acerbo, nulla a che vedere con la sperimentalità radicale di Cosanti e con la scomparsa dell’elemento organico, la roccia, sotto al cemento, ma anche questa è un’altra storia.
C’è tanto dell’approccio didattico di Taliesin in Arcosanti, il laboratorio che Soleri inizierà a costruire nel 1970 e che è ancora in costruzione. Nel percorso per divenire arconauti è stata sempre prevista una visita a Taliesin, il cordone ombelicale che lega Soleri a Lloyd Wright non è mai stato veramente reciso. Quando l’ho visitata io, assieme ai miei compagni di workshop, ho avuto la sensazione che fossimo delle Cenerentole al ballo. Noi in abiti da lavoro sdruciti e sporchi, come ci si trova a vestire abitualmente dopo un po’ di settimane ad Arcosanti, loro professionali e agghindati. Noi semplici capomastri, loro architetti.
Chi l’avrebbe mai detto, solo pochi anni fa, come sarebbe andata a finire?
Alla preoccupazione espressa qualche mese fa, quando la chiusura di Taliesin sembrava imminente, è seguita una marcia indietro da parte del board, un ripensamento che, pochi giorni fa, ha preso una svolta inaspettata.
A chiudere saranno sì i due Campus (Taliesin in Wisconsin e Taliesin West in Arizona) e il nome cambierà, in compenso gli studenti troveranno una nuova casa proprio in Cosanti e Arcosanti. Se al momento i corsi proseguiranno in via sperimentale a distanza, pare che l’idea sia quella di riprendere appena possibile con la modalità consueta (magari con qualche apporto degli arconauti).
Dal punto di vista della Cosanti Foundation questa è un’opportunità enorme, niente male per un progetto che dava segnali preoccupanti di trasformazione in un incrocio tra un museo e un resort per artisti hipster (ma per saperne di più bisognerà aspettare il film a cui sto lavorando con Laura, Micol, Anthony e Another Perspective Pictures).
Di certo sta accadendo qualcosa di molto interessante e che andrà tenuto d’occhio. Sembra che, dopotutto, le eredità di Frank Lloyd Wright e Paolo Soleri siano destinate a ricongiungersi in modalità che nessuno dei due aveva immaginato in vita.